E fuvvi un giorno che passò furiando, quel bieco fantasma della guerra; allora udissi un cozzar d'armi, un saettar di spade, un tempestar di carri e di corsieri, un grido di trionfo e un uluante urlo e colà ove fumò di sangue il campo di battaglia, un luttuoso campo santo levarsì, e un'elegia di preghiere, di pianti e di lamenti.

mercoledì, maggio 17, 2006

Quando la fantasia manca

Tutti scandalizzati per uno spruzzo di sangue sulla telecamera.
Per di più, se a farlo è l'artista maledetto più cool del momento, la faccenda alloggia in prima pagina.
Peccato che la trovata (come quella dei quadri dipinti col sangue -falso!-) sia più vecchia delle uova centenarie cinesi.

Franko B. (e tanti altri) non ricorda nulla?

Misera società massmediale che si trastulla con divetti di quarta classe che pensano di essere originali.

Lasciamo fare il ragazzino, appena morto gli eredi guadagneranno un sacco, anche se la vena artistica era una dote a lui mancante.

Sempre dall'Inghilterra invece un altro artista promette nuove (e vere) fantasticherie :)

2 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Prima di chiamare qualcosa arte, o qualcuno artista, sarebbe interessante capire cos'è diventata l'arte o cosa si intende per essa oggi.
E se la misera società non sia quella artistica che, non riuscendo a creare vera Arte, si rifuggia dietro performance spesso incomprensibili oltre che di dubbio gusto giustificandosi poi dietro le più disparatre teorie.

E.

9:29 PM, maggio 17, 2006

 
Blogger laollo said...

"Vediamo ora un altro argomento, connesso comunque a questo tema che stiamo affrontando oggi, ed è quello proprio del rapporto, della identificazione dell'arte oggi. Una questione che può apparire banale ma che risulta particolarmente legata al mondo contemporaneo è la seguente. Considerato il carattere estremistico di molte opere d'arte, qual è il discrimine, che pure deve esistere, tra arte e non arte?"


"La domanda è un po' generica, devo dire, e in realtà tocca la questione dell'arte d'avanguardia. Ci sono ancora, tuttora, larghi settori di storici dell'arte, di critici, anche di pubblico, di collezionismo, che pensano che tutta l'arte che è partita dalla rottura fondamentale operata da Duchamp dagli anni Dieci in poi, dal '13 con il readymade, sia non arte. O addirittura gente che dice che è spazzatura, o sono buffonate, o furbate o cose di questo genere. Questo atteggiamento è un atteggiamento un po' fondamentalista. Perché mentre qualsiasi artista o critico o gente che ama l'arte nuova, le nuove forme d'arte, rispetta le situazioni di ricerca serie, importanti, caratterizzate da modalità di produzione tradizionali quando queste opere hanno un loro valore, viceversa succede una censura totale rispetto al nuovo, arrivando ad affermare che non è arte. Ma il discorso di che cosa è arte e cosa non è arte fa parte del discorso dell'arte, giustappunto. Proprio qui dove siamo adesso c'è un lavoro, una scritta gigantesca di Ben Vautier, che ha fatto adesso ma sono cose che lui faceva nel '68 e '67, dove c'è scritto "se l'arte la fanno tutti, a che cosa serve l'arte?" Dunque la domanda diventa lei stessa una questione artistica, una questione estetica. Ed effettivamente in questo senso va interpretato secondo me il senso di fondo della problematica del lavoro. Un artista grande, che è anche presente qui, che è Joseph Beuys, considerato come un capo tribù senza tribù, in realtà con una vastissima tribù anche se non ha mai avuto degli allievi diretti, ma Joseph Beuys, teorizzando il suo lavoro in termini di "scultura sociale", dice che il compito degli artisti che svolgono questa funzione nel sociale è creare le condizioni per liberare la creatività individuale di ciascuno di noi, di tutti. E dunque creare le condizioni affinché tutti noi possiamo essere artisti e vivere artisticamente la dimensione creativa, estetica, l'esistenza e la socialità. Dunque si tratta di un'utopia evidentemente, e di una caratterizzazione che vuole stimolare una libertà di comportamento, libertà di pensare, libertà di azione e di giudizio su tutte le cose. E anche di manipolazione se vogliamo, di trasformazione reale, concreta degli oggetti che ci circondano. Gran parte del lavoro, sia di Beuys ma di tanti altri artisti, ormai più che essere un lavoro di manifattura, cioè di elaborazione più o meno artigianale o tecnologica degli oggetti, quindi produzione di un oggetto nuovo è - soprattutto nei lavori di installazioni, di videoinstallazioni di ambienti o anche nelle performance - è cercare di creare, di proporre gli elementi delle realtà in termini spiazzanti. Far vedere il mondo in modo nuovo, creare le condizioni perché la gente sia sollecitata, attraverso il lavoro che l'artista propone, che può essere anche diciamo un lavoro effimero, anzi spesso e volentieri nelle grandi installazioni si tratta di cose sempre effimere, perché difficilmente ricostruibili altrimenti, di creare e sollecitare il pubblico, chi guarda queste cose a vedere il mondo in modo nuovo. Quindi sono elementi del mondo, della realtà, del contesto proposti in termini rielaborati o messi in situazioni diverse, che creano una rottura del senso comune, possono produrre un senso nuovo del reale. Del resto la realtà è un'invenzione dell'uomo, è un'invenzione della cultura dell'uomo. L'artista oggi non è solo un produttore di manufatti, di artefatti come oggetti. E' soprattutto artista perché riesce a costruire un corto circuito estetico di notevole forza - quando è valido naturalmente - per fare in modo che dopo che si siano viste delle opere importanti non si possa più vedere il mondo o quegli aspetti del mondo messi a fuoco dall'opera d'arte nei termini precedenti. Quindi questo, secondo me è un lavoro artistico. Tutto questo può avvenire in luoghi e situazioni dove è possibile percepire questo lavoro in termini estetici. Diceva un artista come Karl André - che è un minimalista e che quindi faceva dei lavori molto freddi - che i suoi materiali, i materiali utilizzati da lui che erano dei mattoni, delle travi, delle lastre di ferro, acquisivano una significatività e una tensione di tipo estetico quando erano contestualizzati in una dimensione di tipo estetico. Dunque in un museo, erano installat in una galleria d'arte, ma nel momento in cui questi stessi materiali fossero messi in un luogo comune, nella strada, o nelle fabbriche dove sono stati costruiti questi materiali ritornano ed essere quelli che sono. Ma non ritorna a essere quella che è l'esperienza estetica del visitatore che, quando guarderà degli elementi che sono mucchi di mattoni, li guarderà con un occhio che è diverso e capirà la forza, potrà caratterizzare in senso estetico e avere un piacere diverso, vedere degli aspetti diversi, più nuovi e diversi, più essenziali del mondo al di là dei modi normali e quotidiani, stereotipati, di giudicare, vedere e classificare gli elementi della realtà".

Da "Lo stato di salute della Ragione del Mondo" - Int. a Francesco Poli

9:59 AM, maggio 18, 2006

 

Posta un commento

<< Home